Scriviamo insieme un futuro più sicuro!
No, quello che avete appena letto, non è l’ennesimo tentativo di rassicurazione di fronte al pericolo del terrorismo bensì lo slogan con cui si conclude lo spot televisivo ideato per sostenere la campagna a favore del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Lo avrete sicuramente visto, dato che qualche tempo fa era trasmesso quotidianamente con frequenza” martellante”. Alla base del messaggio alcune semplici azioni come quella di buttare un uovo in padella o di aprire un ombrello, le immagini sono, però, montate a ritroso ed accompagnate da una suadente voce fuori campo che sottolinea come nel settore dello smaltimento dei rifiuti radioattivi l’Italia sia rimasta indietro… Eravamo ancora nel mezzo di un governo Berlusconi quando una determinata protesta popolare bloccò sul nascere l’ipotesi di costruire il cimitero delle scorie nucleari nei pressi del paese di Scanzano ionico. Un progetto che si sposava con il programma di rilancio dell’energia atomica, la cosiddetta rinascita nucleare italiana. Poi c’è stata Fukushima, il ricorrente referendum… Sappiamo come è finita, il pesante coperchio del sarcofago che, di tanto in tanto, tentano di rimuovere riproponendo l’opzione dell’energia nucleare è stato rimesso al suo posto. Purtroppo rimane aperto il problema della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti dall’attività delle centrali nucleari italiane costruite negli anni ’60 – ‘80 ed oggi in via di smantellamento (decomissioning). A quei rifiuti si aggiungano quelli che continuano ad essere prodotti dalle attività di ricerca, da alcuni processi industriali oltre che quelli di origine ospedaliera. Lo spot commissionato dalla Sogin, società statale che ha il compito di gestire lo smantellamento e messa in sicurezza dei siti nucleari, rimanda alla consultazione del sito www.depositonazionale.it che è quello che ho “ispezionato” per capire “cosa c’è dietro l’angolo”. Tanto per cominciare è cambiata la strategia, almeno in apparenza, l’orientamento è quello di evitare di calare in modo troppo autoritario la scelta della localizzazione del deposito nazionale, anche se si da’ per scontato che si debba trattare di un deposito unico, si punta sulla gradualità di un processo che dovrebbe condurre alla condivisione della scelta finale senza contrapposizioni tra governo e popolazione.
Il problema non è da poco, si tratta di sistemare circa 75000 m3 di rifiuti radioattivi a bassa e media radioattività di cui il 60% legato allo smantellamento delle centrali nucleari ed il 40% derivato dalle attività industriali, di ricerca ed ospedaliere. A questi si devono aggiungere circa 15.000 m3 di scorie ad alta radioattività legate allo stoccaggio dei “combustibili nucleari” riprocessati. Secondo le informazioni lette sul sito dedicato, i contenitori metallici con i rifiuti radioattivi a bassa e media attività già condizionati, detti manufatti, verranno collocati grandi contenitori in calcestruzzo speciale, i moduli, a loro volta inseriti in 90 costruzioni in calcestruzzo armato, dette celle. Una volta riempite, le celle saranno ricoperte da una collina artificiale di materiali inerti e impermeabili, per evitare eventuali infiltrazioni d’acqua. Le barriere ingegneristiche del Deposito Nazionale e le caratteristiche del sito dove sarà realizzato dovrebbero garantire l’isolamento dei rifiuti radioattivi dall’ambiente per oltre 300 anni, fino al loro decadimento a livelli tali da risultare trascurabili per la salute dell’uomo e l’ambiente. Attenzione però, nessuna specifica riguarda le modalità di stoccaggio dei rifiuti ad alta radioattività che dovrebbero essere piazzati, riportiamo letteralmente, ” in un’apposita area del deposito dove sarà realizzato un complesso di edifici per lo stoccaggio di circa 15.000 m3 di rifiuti ad alta attività, che resteranno al Deposito per un massimo di 50 anni (e chi lo garantisce?) per poi essere sistemati definitivamente in un deposito geologico di profondità” ( il loro decadimento avviene nell’ordine delle migliaia di anni). Vale la pena di ricordare che, ad oggi, nessuno degli stati che hanno costruito centrali atomiche negli ultimi decenni dispone di un deposito geologico operativo.
Complessivamente il deposito si svilupperebbe su un’area di una superficie di circa 150 ettari, di cui 40 dedicati al Parco Tecnologico (questa sarebbe la struttura pensata come valore aggiunto al mero concetto di sito destinato ad accogliere i rifiuti contaminati).
L’investimento complessivo di circa 1,5 miliardi di euro per la realizzazione del Deposito Nazionale e Parco Tecnologico oltre che la gestione di esercizio relativa alla sistemazione dei rifiuti derivanti dalle installazioni nucleari sarà finanziato dalla componente tariffaria A2 della bolletta elettrica, che già copre i costi dello smantellamento degli impianti nucleari. Da notare che, fino ad ora, i costi preventivati per il decomissioning non hanno mai trovato riscontro nella realtà risultando sempre in incremento.
I criteri per individuare il sito “giusto”.
E’ stata definita una tabella di marcia che prevede varie tappe, la prima si è conclusa a giugno 2014 quando ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha pubblicato i criteri che la Sogin doveva seguire per definire la CNAPI (carta nazionale aree potenzialmente idonee consegnata 2/01/15). Questi criteri (28 in totale) sono divisi in due categorie. I criteri di esclusione sono stati individuati per scartare le aree che non soddisfano i requisiti di sicurezza per la tutela dell’uomo e dell’ambiente. Nella guida tecnica n. 29 si legge che sono escluse le aree: 1)vulcaniche attive o quiescenti, 2)contrassegnate da sismicità elevata, 3)caratterizzate da rischio e/o pericolosità geomorfologica e/o idraulica di qualsiasi grado e le fasce fluviali, 4)interessate da fenomeni di fagliazione, 5)contraddistinte dalla presenza di depositi alluvionali di età olocenica, 6)ubicate ad altitudine maggiore di 700 m s.l.m., 7)caratterizzate da versanti con pendenza media maggiore del 10%, 8)sino alla distanza di 5 km dalla linea di costa attuale oppure ubicate a distanza maggiore ma ad altitudine minore di 20 m s.l.m., 9)interessate dal processo morfogenetico carsico o con presenza di sprofondamenti catastrofici improvvisi (sinkholes), 10)caratterizzate da livelli piezometrici affioranti o che, comunque, possano interferire con le strutture di fondazione del deposito, 11)naturali protette identificate ai sensi della normativa vigente, 12)che non siano ad adeguata distanza dai centri abitati, 13)che siano a distanza inferiore a 1 km da autostrade e strade extraurbane principali e da linee ferroviarie fondamentali e complementari, 14)caratterizzate dalla presenza nota di importanti risorse del sottosuolo, 15)caratterizzate dalla presenza di attività industriali a rischio di incidente rilevante, dighe e sbarramenti idraulici artificiali, aeroporti o poligoni di tiro militari operativi. Attraverso i criteri di approfondimento (altri 13) si vogliono, invece, analizzare le aree che hanno superato l’esame dei criteri di esclusione per confermarne o no l’idoneità. Per non entrare troppo nei tecnicismi ne riporto solo alcuni: -presenza di manifestazioni vulcaniche secondarie, - presenza di fenomeni di erosione accelerata, -presenza di habitat e specie animali e vegetali di rilievo conservazionistico, -nonché di geositi, produzioni agricole di particolare qualità e tipicità e luoghi d’interesse archeologico e storico, -disponibilità di vie di comunicazione primarie e infrastrutture di trasporto, -presenza di infrastrutture critiche rilevanti o strategiche.
Da questo doppio elenco emerge un quadro che conferma quanto già scritto in altre occasioni; il territorio italiano per le sue peculiarità e l’elevata densità abitativa non era e non è adatto ad ospitare le centrali nucleari, la valutazione è la stessa per i depositi delle relative “scorie”.
Ribadito ciò, ci si trova comunque in fondo ad un cul-de-sac; i rifiuti radioattivi sono stati prodotti, la maggior parte dei siti in cui sono attualmente stoccati non rispondono ai requisiti di sicurezza e sono quindi un potenziale pericolo per l’ambiente e le popolazioni limitrofe, non saranno molti i luoghi potenzialmente adatti alla messa in “sicurezza” dei rifiuti, ma una soluzione che non esponga ad un rischio maggiore gli uni rispetto agli altri andrà trovata.
Quali sono le modalità definite dalla legge? A che punto siamo dell’iter?
La CNAPI è ritornata nelle mani di ISPRA per la verifica del rispetto dei criteri per poi passare al ministero dello sviluppo economico e a quello dell’ambiente. Ottenuto il rispettivo nulla osta la palla passa alla fase della cosiddetta consultazione pubblica che inizia con la diffusione, anche attraverso i media, della CNAPI. Nell’arco dei successivi 4 mesi, le Regioni, gli Enti locali e tutti i soggetti portatori di interesse (chi sarebbero i soggetti portatori d’interesse?) possono formulare osservazioni e proposte tecniche. All’interno della fase di consultazione pubblica si svolge il Seminario Nazionale, un momento di confronto in cui sono invitati a partecipare tutti i soggetti coinvolti e interessati. E’ in questo contesto che verranno evidenziati i benefici derivanti dalla realizzazione della struttura per il territorio….. che l’accetterà (per qualche comune privo di risorse finanziarie l’offerta potrebbe essere allettante).
Questa fase si presenta con quell’opportuna vaghezza per cui le interpretazioni possono essere varie, di certo non risulta alcun esplicito riferimento a qualsivoglia espressione diretta della volontà popolare.
In base alle osservazioni e alla discussione nel Seminario Nazionale, Sogin stilerà la CNAI (Carta Nazionale delle Aree Idonee), che verrà nuovamente sottoposta ai pareri dei ministeri interessati e poi pubblicata; il successivo stadio sarà finalizzato a raccogliere le manifestazioni d’interesse da parte delle Regioni e degli Enti Locali il cui territorio ricade anche parzialmente nelle aree considerate idonee.
In assenza della disponibilità volontaria Sogin dovrà promuovere trattative bilaterali con le Regioni nel cui territorio ricadono le aree idonee. In caso d’insuccesso delle trattative bilaterali (mancata intesa), sarà convocato un tavolo interistituzionale, come ulteriore tentativo di pervenire a una soluzione condivisa.
Di fronte ad un nulla di fatto, il Ministero dello Sviluppo Economico, come stabilito dal Decreto Legislativo 31/2010, individuerà il sito con un proprio Decreto a quel punto la scelta verrà imposta.
Sempre sul sito www.depositonazionale.it, tutto teso a promuovere la soluzione condivisa, s’incappa nell’appello a non scaricare sulle generazioni future il problema dei rifiuti radioattivi. Stucchevole se non provocatorio che questo provenga da parte di chi ha curato i propri interessi contingenti senza aver pianificato, progettato e realizzato le soluzioni adeguate alla gestione dei rifiuti in contemporanea alla promozione dell’energia atomica. In realtà sappiamo bene che i fautori di tale scelta hanno volutamente trascurato le fasi successive a quelle della produzione di energia perché altrimenti avrebbero dovuto calcolare anche i costi economici, ambientali e sociali, una valutazione che avrebbe bloccato qualsiasi programma sul nascere.
Per concludere, è bene ricordare che coloro che esercitano il potere nelle forme della politica e dell’economia, come fossero i padroni del mondo, si muovono con la stessa logica anche nel settore militare… e il nucleare civile è figlio e fratello dei missili e delle bombe atomiche con si tiene in scacco l’intera umanità.
Strano che gli ordigni di morte non siano inclusi nell’elenco dei rifiuti da mettere in sicurezza!
Sia chiaro, quindi, che non accettiamo alcuna etichetta d’irresponsabilità da chi decide per tutti e poi pretende di “scaricare” le conseguenze delle proprie scelte in un processo partecipativo.
La loro vera ed unica regola è sempre quella: dove non c’è consenso c’è l’obbedienza!
MarTa